Queste righe sono state scritte prima del nuovo oltraggio ( con spray nero) alla lapide in memoria di Giovanni Ferrari, Pavia, via Cascina Bellaria. 18 aprile 2021-
“….non è la rosa, non è il tulipano che ti fan veglia dall’ombra dei fossi, ma sono mille papaveri rossi…”: Se questi sono i fiori, e la canzone, che vorremmo fosse dedicata a Giovanni Ferrari, caduto per la libertà, la memoria ci vincola alla storia, e alla sua fine brutale affondata nel pieno dell’estate della guerra civile. 15 agosto. Anno 1944.
Così noi sappiamo che il contadino sessantenne viene ammazzato nel campo di meliga da militi fascisti italiani perché suo figlio è partigiano. Sappiamo anche, per voce dei nipoti, che la moglie viene ferita sulla soglia della cascina di via Bellaria, Pavia est, nel corso del rastrellamento che inchioda la campagna al terrore. E sappiamo anche, per voce dei nipoti, che il processo del dopoguerra, tenutosi a Milano, mandò impuniti i carnefici di Giovanni Ferrari, e che la lapide in suo nome infissa sul muro della villa antistante il campo di meliga, è stata vandalizzata due volte, nel dicembre 2019 e nel maggio 2020. La nuova lapide, realizzata dal Comune su richiesta di Anpi sezione Onorina Pesce, ( ed oggi nuovamente oltraggiata da una mano di spray nero )ha potuto trovato posto solo discosto dalla collocazione originaria, permanendo il diniego della proprietà ad ospitarla sul proprio muro. Rendiamo i fatti nella loro nudità, perché liberamente chi legge possa valutarli.
Per noi, rendere i fatti, e raccontarli, è il modo che abbiamo scelto per informare tutti che il giorno in cui si festeggia l’Italia libera, 25 aprile ore 11 ci troveremo in quella campagna, presso la lapide; così come, in questi lasso di tempo, ci siamo dati appuntamento in ogni anniversario dell’assassinio, ogni 15 del mese, per testimoniare una storia di Resistenza; per sottrarla alla narrazione revisionista del fascismo che, qualcuno dice, ha fatto anche cose buone; per spazzare via la patina banalizzante che annulla la storia, avvelena la memoria e, con perfida soavità, sussurra che dall’una e dall’altra parte, i morti sono tutti uguali. Lo studioso della storia della Resistenza che più ci manca, Claudio Pavone, a corollario di una intervista sulla sua “Una guerra civile – Saggio sulla moralità della Resistenza” ebbe a scrivere tutte le morti sono uguali, ma non per questo sono uguali le ragioni per le quali si combatte e si muore".
E tanto ci basta.
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