La storia di Renato Codara, detto Codaro, partigiano di Belgioioso, prescelto per la missione di Dongo nella pubblicazione curata da Attilia Zanaboni e Enzo Paravella. E' immaginando Renato nel tristo dopoguerra italiano che ho scritto la mia prefazione al libro. Eccola.
“Dovemmo buttare le armi come un esercito di vinti, nell’aria si sente già puzzo di restaurazione” ( cit. Nuto Revelli partigiano piemontese ).
“Una jeep americana ci passò accanto, I poliziotti ci urlarono qualcosa che non capimmo, scesero con il bastone alzato ci fecero cenno di toglierci i fazzoletti rossi” (cit. Mario Spinella,partigiano toscano )
“Abbiamo fatto la guerra,
che è stata, lo si voglia o no, una rivoluzione. Si è sparato sul marciapiede
di faccia, ma dentro il palazzo del Ministero, a pochi passi di là, è come se
nulla fosse mai avvenuto ( cit. Carlo Levi resistente)
“Per chi? Per cosa? Loro,
i furbi, hanno mantenuto tutto come prima. Hanno cambiato solo la marsina, e se
gli dovessi parlare del loro passato ti guarderebbero attoniti come se
discorressimo dei marziani e delle loro gesta” ( cit.lMarcella Chiotti
Principato)
“Se fossero vivi se
fossero ancora al nostro fianco …forse sarebbero stati incriminati per una loro
azione di guerra certo sarebbero insultati dalla stampa fascista, e purtroppo
non solo da quella fascista certo sarebbero guardati con diffidenza schedati
come sospetti” ( cit. Arturo Colombi)
Renato no. Renato non
dice. Non scrive. Non racconta. Al tristo dopoguerra italiano Renato oppone il
suo silenzio, ferreo quanto le parole, che, qui artigianalmente rintracciate
tra diari, lettere e romanzi, testimoniano il tempo amaro della normalizzazione
della Repubblica post fascista.
Giorgio Agosti, questore
di nomina CLN a Torino, se ne è andato sbattendo la porta. Ettore Troilo,
prefetto di nomina CLN a Milano, è stato destituito su disposizione del
Ministro Scelba. Il breve governo resistente di Ferruccio Parri è diventato un
ricordo, e il comandante Maurizio deve ora, 1953, difendersi in tribunale dalle
accuse dei fascisti del Meridiano d’Italia. Alcuni partigiani parlano ancora
via radio: Ma lo fanno dalle frequenze clandestine di Oggi in Italia, che
trasmette da Praga dove sono in esilio. Renato ha lasciato i ranghi della
polizia. Vi è stato due anni, ed è bastato per capire che non è posto per lui. Per
i fascisti e i repubblichini si. Perché in questi ranghi essi ampiamente sono
stati ammessi o reintegrati. Renato non li ha contati. Ma sono tanti.
Renato allora prende la
bicicletta e torna in fabbrica. Qui, è rimasto Codaro, il partigiano scelto per
la missione di Dongo, quello che, dal lago è arrivato a Milano nella notte tra
il 28 e il 29 aprile, con il comandante Valerio. Destinazione piazzale Loreto. In
esatto contrappunto alla strage di 15 antifascisti, qui avvenuta per mano dei
legionari italiani della Muti - 14 agosto 1944.
Renato non ha dimenticato
niente. Non sappiamo se dentro di sé abbia perdonato. Forse Renato pensa che il
perdono appartenga a dio; non agli uomini che, come riescono, fanno la storia
e, se riescono, fanno giustizia.
Renato pigia sui pedali,
corre veloce, come correva veloce in formazione con i partigiani. La sua bici
si mangia la strada come le ruote del camion si sono mangiate le curve dal lago
di Como a Milano. E lui stava sul camion, con l’arma imbracciata, la faccia
magra del ragazzo che era, e i capelli lunghi di allora.
Tace,
Codaro. Entra in fabbrica. Parla per lui la sua faccia, che invecchia pian
piano, ma non diventa diversa da quella di allora.
Pedala,
Renato. Per un attimo molla il manubrio, si scosta dal viso il ciuffo di
capelli, quei capelli neri da ostinato ragazzo di strada. Quel ciuffo che
ballava sugli occhi anche quando, all’osteria o alla Pesa, canterellava il
ritornello garibaldino che non trova posto nelle commemorazioni ufficiali…. “Non
c'è tenente, né capitano, né colonnello
né generale questa è la marcia, dell'ideal, dell'ideal”
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