mercoledì 30 dicembre 2020

LA RANA E BARBABLU

 

Nella città di Aligosta, egli era il costruttore di serrature e chiavistelli, di catenacci e lucchetti per proteggere la moneta e il sonno, l’imbroglio, la fedeltà delle spose, e i traballanti solai del ricordo. Arricchito dalle richieste di una popolazione assennata e feroce, che paga in contanti le serrature, e le vuole belle, ornate di cento gioielli, egli si è invecchiato senza aver generato. Durante una settimana di peccato, in una estate senza preavviso, precipitata in terra come una stella, il costruttore di chiavi – era così giovane, allora, - incontrò una donna che mai avrebbe voluto incontrare. “Amore mio dall’abbaino sbarrato, puoi sentirmi ancora da oltre la soglia?” Egli ha giocato bambino con ciottoli azzurri sulla riva del mare. Ma presto fu il tempo delle leggi, dell’avere e del possedere, dell’apprendere il mestiere tramandato dai suoi; egli ne imparò i codici, ne moltiplicò le alchimie e ne sviluppò i segreti fino a diventare il signore che lega, e, a proprio piacimento, dislega. Accarezzò la rana che gli era compagna di giorno e di notte, e fremette di gioia avvolto nel suo ampio mantello quando le sue serrature sconfissero i ladri, i mestatori, i cercatori di lune e di ninfe, di insonni utopie e variopinti cuori di fanciulle in fiore. “Troppo disordinata eri, amore mio, sbarcata alla spiaggia di Aligosta da luogo che non conosco; una altra terra, una altra storia, un diverso passato che mi lasci sospettare.  Portavi mille amori dentro la tua cesta, e il tuo sorriso era aquilone  e sapore di pesca. Dicevi di avermi inutilmente aspettato, ma dove potevo trovarti con i tuoi capelli di vento e senza fissa dimora? Mi intrecciavi la mano, ma io non avevo né luogo né tempo dove portarti. Dovevo lavorare per amore di questa città bella come il nome della bambina che eri, e proteggermi la mente dalle smanie che davi, puttana, e non ti bastavo mai, volevi il mio cuore, il mio nome, il mio tempo.” 


Aligosta di torri e bastioni, scalinate di pietra e glicini nei cortili, lucente di mare e di sole, con lenzuola di pizzo sbattenti vento; c’è una duna sconosciuta oltre il porto, e inesplorate foreste di mirto. Bastarda città, mai sazia di tranquillità e di agiatezza. Si fanno processioni di maggio per chiedere in moglie le vergini, e chi le sposa rispetta la legge del mercato e la misura del bordello. L’offerta è libera, il gioco delle tre carte è lecito, la contrattazione è truccata. Sul mercato, il costruttore di chiavi dall’ampio mantello canta e decanta i pregi della propria merce:proteggete le ricchezze accumulate, le donne impalmate, i conti in banca, gli investimenti, i risparmi, le miserie di fine mese, le fotocopie delle meschinità, le ricevute degli illeciti, i proventi dei traffici, le schedine della domenica, i biglietti della lotteria nazionale. Custodite la roba, le monetine del salvadanaio, le carte dei crediti, le prove degli imbrogli, gli abiti da cerimonia, la castità delle figlie, le maschere del prossimo carnevale, i certificati di buona condotta, gli spartiti delle messe cantate, i panni sporchi, i liquori forti, i rimedi per dormire, le pasticche del veleno, le medicine per abortire, le bende insanguinate delle donne. Avete spazio in fondo ai cassetti, dentro alla ribaltina, nella credenza della cucina. E ognuno dei miei chiavistelli apre al momento dovuto e chiude quando è tempo di dimenticare”. 
La rana che ha freddo si fa tana sotto il mantello del vecchio, distende il corpo presso il suo collo, respira all'unisono con il suo cuore, e ad ogni ora si pasce dei suoi pensieri segreti: “amore mio dal passo leggero, una maledizione averti incontrata, a quale rovo hai strappato la veste, dove vai quando mi lasci, dov’eri la notte scorsa, ho visto un’ombra giù al porto in corsa tra i cespugli di mirto". 
Dalla Candelora a Natale, il mercato di Aligosta si riempie di ceste d’uva e di arance, canestri di uova e ricotta, damaschi pregiati, pan di zucchero, fichi d’india, fasci di garofano e rose; e i passi delle donne smuovono l’odore del pesce e del miele. “Fossi stato capace di fermarti, azzannarti alla gola per schiudermi i misteri delle tue corde vocali, predarti e poi scordare di te anche l’orecchino spaiato, anziché respirare la tua traccia di lontano, nascosto tra i vapori del pane.” 
Ad Aligosta, le giostre girano nelle sere di festa; e su ogni giostra c’è un cavallino, un bambino, una stella filante. Si apre il tendone del circo, il tiro al bersaglio, la mostra dei serpenti, la pesca dei pesci rossi, la casa degli specchi, il padiglione dei labirinti, il museo degli orrori, e la strega allunga la mela. I lumi si accendono sulla pista da ballo, le donne si sono arricciate i capelli e cucite lustrini ai corpetti, le coppie si stringono, si cercano, si intrecciano ai fianchi, tre giri di tango, tre accordi di chitarra, una melodia di mambo. Il ritmo dell’orchestra sale, i tacchi pestano sulla pista, le nacchere impazziscono, e, contro ogni ragionevolezza, ognuno spera che la musica indefinitamente continui, che non scenda il silenzio, che non venga strappata l’ illusione vibrante nell’aria, diventata in bocca una voglia di bacio. “La luce della festa ti disegna il profilo, l’onda dei capelli, il peso dei fianchi, la curva delle anche, il segno delle veglie, le tracce di cipria dei tuoi peccati e dei tuoi anni, dell’intera tua vita che mi fa la posta, mi tende una trappola, senza parere tra un sorriso e un fandango. Dillo che mi vorresti vicino, non aspettare domani, ci sarà troppa luce, ti fermerò il sorriso in un incrocio di spade, troppo a lungo ci siamo sfidati; io ora ti prendo e ti tengo in una notte serena, una domenica sera d’incanto, in questa ora che non vuole morire e che non consente ritorno.” 
Ma il ritmo si spegne, si allentano le braccia, si ricompongono le facce, si calma il respiro, si smorza la luce. 
La rana si scuote, distende le membra, si gira su un fianco e allarga le fauci sotto il mantello. “E tu come tutti scendi dalla pista, attraversi il parco, compri il croccante, la notte è nel mezzo; a chi rivendi il sorriso incantato, lo zucchero filante, la mela assaggiata?"
Aligosta, mentre trascorrono anni e stagioni, estende le proprietà, i mercati, i giri d’affari e di clienti; operosa e prudente. E ormai raramente accade di sbattere il capo su vetri infranti e tentazioni, di accettare la compagnia dei randagi e delle fiammiferaie, di intravvedere le fantasie di zafferano e di spezie, di inciampare in un cerchio che non si chiude, in uno spigolo senza angolo, in una casa senza finestre, per svegliarsi quando il sole è già alto, con un mal di testa feroce di rabbia e rimpianto “Amore mio dei gerani e dei grani di sale, che ne è stato della donna che eri?".
Aligosta affamata, che inghiotte e ingurgita, sospettosa città che mette paletti alle proprietà, cinture di castità ai fianchi e occhiolini alle porte, impietosa e vigliacca. C’è pesce già vecchio in vendita al mercato, arance rancide e acquosa ricotta. 
Aligosta, mai sazia che digerisce ogni cosa, corrotta di vizi e sopori, acquietata di rosari e di antichi rancori, assopita e satolla che, implorando e insistendo, chiede al costruttore di chiavi di costruire ancora e ancora altri lucchetti e altri chiavistelli per sbarrare il passo al passato nella città che si prepara all’inverno con botti di vino in cantina e novene ai santi dai bianchi costati trafitti di frecce e le fronti nevrotiche incoronate di spine. Nel laboratorio di zinco e cemento dove non arriva l'eco del mare, il costruttore di chiavi lavorò senza requie nel mese della nebbia spiovente. Il gracidio della rana assopita sotto il pesante mantello, vischiosa vicino al suo collo, così vicina al suo cuore, gli era di ispirazione e conforto. Egli seppe esaudire la sua gente: perfezionò forzieri per imprigionare i ricordi, realizzò casseforti per contenere gli anni naufragati, e, accumulando nelle tasche buona moneta sonante, fece fortuna brevettando cassette di sicurezza per le inopportune meduse della memoria. 
Aligosta, la bella, sette meraviglie guardano il mare, sette draghi controllano le porte, sette latrati vigilano i crocicchi, sette ferri proteggono gli spalti, sette schiavi gustano il potere. 
Aligosta, la dolce, con un lucchetto sul cuore e uno scrigno in giardino per interrarvi i fantasmi di aborti e di amori, i mazzi di lillà dimenticati sul comò, le buste che hanno perso la missiva, gli alibi trasformati in ragioni, le lettere del come si era quando si era davvero. 
Aligosta, la pazza, che serra gli scuri quando scende il freddo invernale, i corvi prendono possesso dei tetti, le foschie salgono dal mare, le donne si stringono il velo alla gola, il prete assolve i genuflessi, e nessuno ricorda il proprio tempo smarrito. 
Aligosta, la alienata, che ha perso sé stessa tra le magnolie avvizzite, che, sotto i centrini, nasconde le lumache morte e i pensieri sconsacrati; i licheni coprono i gradini, Venere in marmo nuda e spaurita si specchia nella fontana ghiacciata, e si è taciuta anche l'ultima sirena giù al porto. 
Il costruttore di chiavi strisciò carponi al traballante solaio e a sangue grattò con le dita: “amore mio dello spiraglio e della mantiglia, amore mio del rosso e del nero, per carità fammi entrare, mi avevi tentato, mi avevi sconfitto, ma se avessi allargato le braccia tu avresti allungato la mano, sgualdrina, per prendermi il cuore. Vicoli, piazze, crocicchi da attraversare ballando, strega, con il mio cuore in mano, levato alto come trofeo, pensa che vergogna, i pettegolezzi sul mio nome, il fango sulle mie ragioni, le risate sulle mie paure e io, io come avrei potuto vivere senza il mio cuore? amore dei cardellini e dei lustrini, non ho più la forza di essere solo, perdonami di questi anni bastardi, non accusarmi dei mali del mondo, della vigliaccheria del mio popolo; io ho fatto solo ciò che mi hanno richiesto. Ho venduto sicurezza, ho progettato i destini di chi aveva paura, ma ora guardami, ridammi la smania. Scaccia la rana che mi vive sul cuore. Mi sta mangiando; è una bestia che ha fame e premura, e non mi concede altro tempo.” 
Il vecchio trasse da sotto il pesante mantello la chiave del solaio dove, incatenata, da tempo immemore, giaceva la sua giovane sposa. E fu un attimo prima che il respiro gli si arrestasse nel petto. La rana sgranchì le zampe palmate; e scoppiò in una risata.

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